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L’ARTICO CONTESO
AUTO SULLA FOLLA A MANNHEIM (Intervista Il Sussidiario.net)

AUTO SULLA FOLLA A MANNHEIM/ Indagini e privacy ‘nascondono’ un enorme problema della Germania Due morti per una vettura lanciata sulla folla a Mannheim. Una vicenda ancora da chiarire a causa della comunicazione poco trasparente della polizia

Un’auto sulla folla, lanciata a grande velocità. Una modalità ormai collaudata per chi vuole commettere un attentato, che ultimamente trova applicazione soprattutto in Germania. La vicenda di Mannheim, nella quale sono morte due persone e ne sono rimaste ferite altre 14, è comunque emblematica di quello che sta succedendo nel Paese, dove, spiega Stefano Piazza, giornalista e scrittore esperto di sicurezza e terrorismo, nel giro di poche settimane, tra macchine impazzite e attacchi con il coltello, si contano cinque episodi gravi. Secondo le autorità tedesche, il responsabile di questa tragedia è un tedesco di 40 anni, che non sarebbe animato da motivi politici, anche se, da fonti giornalistiche, sulla sua auto ci sarebbero stati simboli di estrema destra. L’uomo si sarebbe sparato con una scacciacani: è grave. Di fatto, per l’attentato, ha mutuato una tecnica fatta propria da certo terrorismo islamico. Al di là della gravità dell’episodio, comunque, resta la cortina fumogena che sempre la polizia tedesca stende su fatti di questo genere: non è mai facile conoscere identità e motivazioni dei responsabili di questi gesti, in relazione ai quali vengono date informazioni scarne che, alla fine, finiscono per impedire la comprensione degli avvenimenti.
L’episodio di Mannheim non è isolato in Germania. Anche recentemente ci sono state altre aggressioni o attentati con macchine lanciate sulla folla: come si inquadra la vicenda in questo contesto?
I testimoni oculari raccontano di una macchina, una Ford, pare un SUV, che a un certo punto ha accelerato e ha investito la folla. Sono morte due persone, ci sono 14 feriti, alcuni gravi. Il problema è che, se andiamo a guardare i dati delle ultime settimane, tra investimenti e aggressioni con il coltello, questo è il quinto attacco in pochi giorni.
Ma si è capito o almeno intuito quale potrebbe essere stato il motivo scatenante di una tragedia del genere?
Su X si era diffusa la voce che il responsabile fosse un afghano, ma poi le autorità hanno dichiarato che si tratta di un cittadino tedesco di 40 anni, del Baden-Württemberg, anche se l’ultima residenza sarebbe stata Ludwigshafen, città vicina a Mannheim. Indipendentemente dal fatto che questa persona fosse un estremista di destra, che avesse avuto problemi psichiatrici o che fosse spinto da altri motivi ancora, c’è da dire che la tecnica, finora usata dagli islamisti della vettura lanciata sulla folla, è ormai mutuata anche da altri. La usano tutti. Una circostanza spaventosa.
Le comunicazioni delle autorità tedesche dicono abbastanza poco della personalità dell’attentatore e delle ragioni che lo hanno spinto ad agire. Perché?
Per l’ennesima volta le forze dell’ordine tedesche, su eventi del genere, gettano una cortina fumogena, in virtù della quale non si sa mai cosa è successo, chi è il responsabile e perché ha agito in un certo modo. C’è sempre un curioso modo di gestire i rapporti con i media. Non si tratta di opinioni, ma di fatti, eppure, quando succede qualcosa, si devono attendere ore per capire come sono andate veramente le cose.
Non è un caso, quindi, che vengano date così poche notizie?
Le autorità tedesche adottano una comunicazione controllata e selettiva sugli attacchi terroristici per diverse ragioni. Vogliono prevenire panico e propaganda: la diffusione di dettagli eccessivi potrebbe amplificare la paura nella popolazione e offrire visibilità agli autori degli attacchi, che spesso mirano proprio a questo. Ma pensano anche di limitare le informazioni per non compromettere le indagini in corso e per evitare di fornire vantaggi a complici o gruppi affiliati. Ci sono anche norme rigide sulla privacy, per cui i dettagli su vittime e sospettati vengono rilasciati con estrema cautela per motivi legali ed etici.
C’è l’impressione, comunque, di una gestione un po’ troppo “politica” di queste vicende?
I tedeschi pensano che la riservatezza aiuti a impedire che potenziali attentatori apprendano informazioni utili sulle modalità di intervento delle forze dell’ordine. Vogliono evitare la strumentalizzazione politica di questi eventi, privilegiando una comunicazione sobria e basata su dati verificati. Una strategia comune a molti Paesi europei, che però può generare notizie false e accuse di mancanza di trasparenza.
Oltre a questo episodio, la Germania, in più occasioni, è stata teatro di fatti simili a quelli di Mannheim, in cui spesso le persone individuate come autori degli attentati erano stranieri, afghani e sauditi, anche se non sempre era chiara l’eventuale matrice islamista dei loro gesti. C’è comunque una difficoltà di gestione dell’immigrazione irregolare?
La Germania ha fatto entrare un milione e mezzo di persone provenienti da Paesi come la Siria, l’Afghanistan e il Pakistan. È normale che, in mezzo a queste, ci siano persone che possono costituire un pericolo per la sicurezza pubblica. È inutile raccontare favole: il Paese, da quando sono entrate queste persone, ha dei problemi enormi di sicurezza.
(Paolo Rossetti)