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Lo Stato Islamico in Africa Centrale intensifica gli attacchi contro i cristiani

Lo scorso 28 luglio un nuovo massacro ha colpito la città di Komanda, nel territorio di Irumu, nella provincia congolese dell’Ituri: almeno 43 persone sono state uccise in un attacco rivendicato dalla Provincia dell’Africa Centrale dello Stato Islamico (ISCAP), nota localmente come Forze Democratiche Alleate (ADF). I miliziani, operativi anche nel vicino Nord Kivu, hanno incendiato decine di abitazioni e attività commerciali, distrutto veicoli e trucidato venti fedeli durante una messa in una chiesa cattolica, usando armi da fuoco e machete.
Nel luglio 2025 si è assistito a una drammatica escalation di violenza contro le comunità cristiane rurali, ritenute bersagli fragili dai jihadisti. Le province di Ituri e Nord Kivu sono state teatro di attacchi brutali che, secondo la missione ONU di stabilizzazione MONUSCO, hanno provocato almeno 82 vittime. Tali aggressioni sembrano essere una risposta alla crescente pressione militare delle forze armate congolesi e ugandesi, che all’inizio del mese hanno costretto l’ADF a evacuare le proprie roccaforti nella foresta di Lolwa, lungo l’asse Komanda-Mambasa.
In seguito all’assalto, più della metà della popolazione di Komanda è fuggita, aggravando ulteriormente la crisi umanitaria e degli sfollati nella regione orientale della Repubblica Democratica del Congo, già devastata da anni di conflitti. A complicare ulteriormente lo scenario è il ritorno in campo del Movimento 23 Marzo (M23), sostenuto dal Ruanda, che dal dicembre 2024 ha consolidato la propria presenza su ampie aree del Nord e Sud Kivu. Le rispettive zone d’influenza di M23 e ADF si stanno progressivamente avvicinando, mettendo in difficoltà la capacità delle forze armate congolesi (FARDC) e dei loro alleati di contenere la doppia minaccia.
L’avanzata del M23 ha inoltre innescato l’intervento di nuove milizie locali e contingenti regionali, disarticolando i meccanismi di coordinamento e lasciando margini di manovra all’ADF, che ne approfitta per riorganizzarsi. L’ultimo assalto sembra essere una rappresaglia contro le operazioni congiunte delle Forze di difesa ugandesi (UPDF) e delle FARDC, riunite sotto la sigla «Operazione Shujaa», che puntano al cuore logistico dell’ISCAP: il campo noto come «Madina», situato nei territori boscosi di Mambasa. Questo sito, che ospita tra i 1.000 e i 1.500 miliziani con le loro famiglie, rappresenta anche il quartier generale del leader dell’ADF, Musa Baluku. L’offensiva ha disperso i combattenti, costringendoli ad abbandonare posizioni consolidate.
Già a inizio giugno come scrive in un suo recente report The Soufan Group , l’ADF aveva tentato un attentato suicida nella capitale ugandese Kampala, nel corso della Giornata dei Martiri, prendendo di mira fedeli cristiani. Era il primo attacco di questo tipo dal 2023 e va letto come un segnale di resistenza nonostante la pressione militare crescente. L’episodio conferma la capacità del gruppo di mantenere attive reti transfrontaliere e ambizioni jihadiste regionali, pur senza operare costantemente fuori dal proprio epicentro operativo. L’ADF rimane comunque legato alla galassia dello Stato Islamico, le cui diramazioni vanno dall’Africa orientale fino al Sudafrica, e conserva sia i mezzi sia l’intento di condurre attentati su vasta scala in ambito urbano.
Lanciata nel novembre 2021, l’Operazione Shujaa nasce da un accordo tra i governi di Kinshasa e Kampala per contenere l’insurrezione dell’ADF e proteggere il confine tra Uganda e RDC, oltre alle province del Nord e Sud Kivu. I risultati, tuttavia, sono contrastanti: se da una parte il gruppo ha perso basi importanti, dall’altra ha mostrato una notevole capacità di adattamento, suddividendosi in cellule mobili che operano nelle fitte foreste locali, dove l’operazione militare congiunta ha una presenza limitata. Questa frammentazione ha permesso all’ADF di spostarsi più a ovest e colpire aree meno sorvegliate, accentuando la vulnerabilità dei civili. Una dinamica che sembra rispondere anche a logiche strategiche: l’Uganda, contenendo la minaccia transfrontaliera, rafforza parallelamente la propria influenza nell’est della RDC, regione ricca di risorse minerarie, entrando in concorrenza con l’ingerenza ruandese via M23. Il risultato è un incremento degli attacchi nelle zone non protette dall’operazione. I dati dell’ACLED (Armed Conflict Location & Event Data Project) indicano un aumento del 68% delle vittime civili nella prima metà del 2025: si tratta del secondo trimestre più letale dal 1997.
L’ADF si conferma una delle cellule affiliate allo Stato Islamico più feroci contro i civili. In un contesto in cui la presenza musulmana è esigua, il gruppo non mira alla conquista del potere, ma all’annientamento totale delle comunità attraverso massacri e atti terroristici. Tuttavia, da aprile 2025, si è osservato un mutamento parziale nella sua strategia: l’ADF ha iniziato a imporre tassazioni forzate e a stabilire contatti più intensi con le popolazioni locali, probabilmente a causa del ridimensionamento dei finanziamenti provenienti dalla branca somala dell’ISIS – il principale nodo logistico e finanziario dell’ISCAP – sottoposta a forte pressione dalle operazioni antiterrorismo a guida statunitense.
Il settarismo resta il perno centrale della propaganda dell’ISIS, usato per reclutare miliziani e raccogliere fondi. Secondo il BBC Monitoring, oggi circa il 90% delle operazioni dello Stato Islamico è attribuibile alle sue affiliate africane, rendendo il continente il nuovo epicentro del terrorismo jihadista globale. In un quadro segnato da fragilità istituzionale e assenza di governance, gli esperti temono che il ciclo di violenza sia destinato a perdurare. Le missioni occidentali, in particolare quelle statunitensi e francesi, si sono ritirate quasi del tutto, lasciando campo libero – in alcune zone – ai contractor del Gruppo Wagner, molti dei quali operano ora sotto la nuova etichetta dell’Africa Corps. Il loro intervento, basato su metodi repressivi, contribuisce più a destabilizzare che a pacificare le aree coinvolte.
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