
Iran, lo zar si offre come mediatore (LV 05.06.2024)

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L’ultima fake news: Israele starebbe sostenendo gruppi affiliati all’Isis

Mentre il conflitto israeliano nella Striscia di Gaza prosegue senza sosta, tra le polemiche più recenti emerse vi è l’accusa secondo cui Israele starebbe sostenendo «gruppi affiliati all’ISIS» o «milizie legate all’ISIS» all’interno della Striscia, come strategia per contrastare Hamas. Questa tesi ha iniziato a circolare non solo tra israeliani e palestinesi, ma anche tra numerosi analisti e commentatori internazionali. Un esempio è il giornalista progressista israeliano Dimi Reider, che ha recentemente pubblicato su Twitter un commento basato su dichiarazioni di Avigdor Liberman — leader di un partito d’opposizione alla coalizione guidata da Netanyahu — scrivendo: «ULTIMA ORA… Netanyahu CONFERMA che Israele ha collaborato con bande criminali affiliate all’ISIS a Gaza». Sulla stessa linea si è espresso il noto opinionista Mehdi Hasan, che rispondendo a John Spencer (sostenitore della campagna militare israeliana), ha affermato: «Ecco il punto: [Spencer], totalmente focalizzato su Hamas, approva il sostegno ad armare gruppi legati all’ISIS». Ma esistono davvero elementi concreti a sostegno di queste affermazioni?
Le accuse ruotano attorno a un gruppo armato anti-Hamas attivo nel sud della Striscia di Gaza, noto come «Forze Popolari» e guidato da un certo Yaser Abu Shabab, sospettato di ricevere appoggio o almeno di essere tollerato da Israele. Questa milizia si presenta anche con il nome di «Apparato Antiterrorismo». Tuttavia, basta una rapida analisi della sua simbologia e della comunicazione mediatica per mettere in discussione qualsiasi presunta affiliazione allo Stato Islamico. In particolare, l’utilizzo della bandiera palestinese nel logo del gruppo richiama un immaginario nazionalista che risulta assolutamente incompatibile con l’ideologia dello Stato Islamico, che respinge tali simboli. Un ulteriore elemento che contraddice la narrazione di un legame con l’ISIS è rappresentato dalla simbologia adottata dal gruppo. Non solo il logo richiama un immaginario fortemente nazionalista — incompatibile con l’ideologia dello Stato Islamico — ma anche la bandiera palestinese è visibile sugli abiti indossati dai membri dell’organizzazione, come mostrato nella loro stessa propaganda. Un recente video promozionale, ad esempio, documenta il presunto «ritorno» nell’area est di Rafah e la distribuzione di aiuti, confermando l’uso esplicito di simboli identitari nazionali che lo Stato Islamico rigetta apertamente.
Come scrive Aymenn Jawad Al-Tamimi ricercatore e analista britannico-iracheno: « Si potrebbe ipotizzare che l’estetica simbolica e la narrazione pubblica del gruppo servano da copertura per celare una reale connessione o simpatia nei confronti dello Stato Islamico, così come potrebbero occultare eventuali rapporti di sostegno da parte di Israele. Tuttavia, non vi è alcun elemento che suggerisca che una simile strategia mimetica sia compatibile con i dettami dello Stato Islamico stesso, che ha sempre condannato con fermezza l’adozione di simboli nazionali, ritenendola una deviazione inaccettabile rispetto alla vera natura del jihad, che — secondo la sua ideologia — deve essere condotto unicamente sotto la bandiera del monoteismo islamico e all’interno di una cornice religiosa assoluta. Inoltre, qualora fosse vero che il gruppo riceve appoggio da Israele, ciò lo renderebbe ancor più incompatibile con i principi dello Stato Islamico, che considererebbe un simile comportamento come un’aperta negazione dell’Islam». Hamas, già bollato come «apostata» dal gruppo jihadista, è accusato di aver deviato dalla retta via, ma un’organizzazione che collaborasse direttamente con Israele verrebbe vista come responsabile di un tradimento ancora più grave: quello di allearsi con «infedeli» contro la popolazione musulmana di Gaza, che l’ISIS non considera nel suo insieme apostata. In quest’ottica, anche il gruppo di Yaser Abu Shabab sarebbe giudicato «rinnegato» e caduto nell’apostasia per aver prestato assistenza a forze non islamiche contro altri musulmani.
Nella misura in cui si possa attribuire un significato concreto all’accusa secondo cui Israele starebbe cooperando con «gruppi affiliati all’ISIS», essa sembra derivare principalmente da una logica più ampia di «colpevolezza per associazione» — per usare le parole del giornalista Matthew Petti — basata sulle connessioni di alcuni clan da cui la milizia di Yaser Abu Shabab avrebbe attinto o con cui avrebbe interagito, e che storicamente si sono opposti ad Hamas. Si ritiene, ad esempio, che lo stesso Abu Shabab provenga dal clan Tarabin, una famiglia estesa presente sia nella Striscia di Gaza sia nella penisola del Sinai. Pur essendo vero che alcuni membri di questo clan hanno partecipato a precedenti forme di resistenza jihadista contro Hamas in coordinamento con lo Stato Islamico, è difficile estendere queste affiliazioni a tutto il gruppo tribale. Nella regione del Sinai, ad esempio, alcuni componenti dei Tarabin hanno collaborato con l’esercito egiziano nella lotta contro l’insurrezione jihadista dello Stato Islamico, che — pur continuando a esistere formalmente come «Provincia del Sinai» — risulta di fatto inattivo o marginalizzato dall’inizio del 2023.
In un recente intervento online, Ghassan Azeiz Duhine — considerato vicino al gruppo guidato da Yaser — ha apparentemente rivolto un appello ai clan al-Dayri e Daghmash affinché si uniscano, esortandoli a «non permettere ai nemici di gioire delle nostre disgrazie». Alcuni esponenti dei Daghmash sono stati associati al piccolo gruppo jihadista attivo a Gaza noto come Jaysh al-Islam, che, pur mantenendo un basso profilo dopo il 7 ottobre, è noto per aver espresso sostegno allo Stato Islamico. È plausibile che all’interno della milizia di Yaser vi siano individui con precedenti salafiti o con legami passati con le reti di contrabbando operanti tra la Striscia e la penisola del Sinai.
Tuttavia, come scrive Aymenn Jawad Al-Tamimi:« Questo quadro è ben distante dal sostenere l’idea che Israele stia effettivamente supportando «gruppi affiliati all’ISIS» nella Striscia di Gaza, una narrativa che trae origine principalmente da dinamiche del dibattito politico israeliano, per poi essere amplificata e rilanciata sui social media senza un’attenta verifica dei fatti. Si può legittimamente criticare la milizia di Yaser Abu Shabab come realtà criminale o mettere in discussione l’opportunità politica e morale di un eventuale appoggio israeliano a formazioni simili, ma l’ipotesi di una collaborazione tra Israele e lo Stato Islamico nel tentativo di contenere Hamas non trova alcun riscontro fondato. La posizione dello Stato Islamico nei confronti di Israele, infatti, è inequivocabile: il gruppo considera lo Stato ebraico un’entità illegale che occupa terra musulmana e che, per tale motivo, deve essere annientata. Nonostante la priorità operativa dello Stato Islamico rimanga il contrasto alle autorità musulmane che ritiene apostate e illegittime, il gruppo ha più volte invocato attacchi contro ebrei e israeliani su scala globale, nel tentativo di presentarsi come un difensore della causa palestinese e di Gaza».
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