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Iran, è corsa contro il tempo per Mohammad Javad Vafaei

Il 15 dicembre 2025, all’interno del carcere di Vakilabad, a Mashhad, Mohammad Javad Vafaei ha appreso che la Corte Suprema iraniana aveva respinto in via definitiva la sua istanza di revisione processuale. Una decisione che, di fatto, spalanca le porte all’esecuzione capitale. Nella stessa giornata, alle autorità penitenziarie è arrivata un’indicazione anomala: alla madre di Javad è stato improvvisamente consentito un colloquio diretto con il figlio. Un segnale che, secondo prassi consolidate nel sistema carcerario iraniano, viene spesso interpretato come il preludio all’esecuzione. Poco dopo, la donna ha ricevuto anche una comunicazione telefonica dalla prigione: la condanna era stata trasmessa all’ufficio competente per l’esecuzione delle sentenze a Mashhad. Il rischio che la pena venga attuata in tempi brevissimi è concreto.
Vafaei, trent’anni, ex campione di pugilato e allenatore, medaglia d’argento ai campionati nazionali, è stato arrestato nel gennaio del 2020. Dopo un periodo di detenzione segnato, secondo diverse fonti, da torture e maltrattamenti, è stato condannato a morte con l’accusa di appartenenza all’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI/MEK). Una sentenza che la Corte Suprema del regime ha ora confermato per la terza volta. Dal momento del suo arresto, a Javad sono stati sistematicamente negati permessi sanitari e qualsiasi forma di assistenza medica. Gli è stato inoltre impedito di partecipare alle esequie del padre, Seyed Ali Vafaei, morto lo scorso novembre dopo un progressivo peggioramento delle condizioni di salute, aggravate – secondo i familiari – dal trauma causato dalla conferma della condanna a morte del figlio.
Il trattamento riservato a Vafaei non rappresenta un caso isolato. La repressione esercitata dalla leadership iraniana, sotto la guida dell’ayatollah Ali Khamenei, colpisce da anni non solo i militanti dell’opposizione, ma anche i loro familiari. Il 29 agosto 2025 è morto Valiollah Daneshvar Kar, padre del prigioniero politico Shahrokh Daneshvar Kar. Nonostante fosse gravemente malato, l’uomo aveva continuato a manifestare pubblicamente per il figlio, esibendone la fotografia e gridando “No all’esecuzione”. A Shahrokh è stato vietato di prendere parte al funerale. Un copione simile si è ripetuto nel gennaio 2025 con la morte di Khadijeh Farsi, madre della prigioniera politica Marzieh Farsi e del militante dell’OMPI Hassan Farsi, ucciso in passato. Anche in quel caso, Marzieh non ha potuto salutare per l’ultima volta la madre. Altri tre figli della donna – Hossein, Azam e Maryam – risultano membri dell’OMPI e risiedono ad Ashraf. Di fronte a questa escalation, la Resistenza iraniana rinnova l’appello alle Nazioni Unite, all’Unione Europea, ai governi dei Paesi membri e alle organizzazioni internazionali per i diritti umani affinché intervengano con urgenza per fermare l’esecuzione di Mohammad Javad Vafaei e degli altri detenuti politici rinchiusi nel braccio della morte.
Sulla vicenda è intervenuta Azar Karimi, attivista per i diritti umani e portavoce dell’associazione «Giovani iraniani in Italia»:
« Di fronte alla minaccia di un rovesciamento imminente e nel tentativo di prevenire una rivolta, il regime ha intensificato la repressione. Ha condannato a morte 18 sostenitori del PMOI, aumentato la pressione sui prigionieri politici di lunga data e ora sta tentando di commettere un altro crimine contro l’umanità con l’esecuzione del prigioniero politico e campione di pugilato Mohammad Javad Vafaei per il suo sostegno alla principale opposizione. Tuttavia, nessuna di queste misure salverà un regime debole e illegittimo dalla sua inevitabile caduta. Nonostante ciò, la sfida rimane intatta, come dimostrano la campagna settimanale “No alle esecuzioni del martedì” e l’espansione delle attività delle Unità della Resistenza. Questa brutalità crescente segnala la disperazione del regime, giunto a un vicolo cieco di fronte alla determinazione del popolo di instaurare una repubblica democratica».
Resta aperta la questione del ruolo delle istituzioni europee. Alla domanda su quali strumenti possano essere attivati, Karimi risponde richiamando le parole di Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (NCRI):
« Come ha recentemente dichiarato la signora Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (NCRI), nel suo intervento al Parlamento europeo in occasione della Giornata dei diritti umani, è giunto il momento che il Servizio europeo per l’azione esterna e il Consiglio dei ministri rompano il loro silenzio sulle violazioni dei diritti umani in Iran, in particolare riguardo ai 18 prigionieri politici incarcerati per il loro sostegno al PMOI.Tutte le relazioni con il regime iraniano dovrebbero essere subordinate alla fine delle esecuzioni. Le ambasciate e le istituzioni legate al regime, che agiscono come centri di supporto alla sua repressione transnazionale, devono essere chiuse. Inoltre, il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) e il Ministero dell’Intelligence del regime dovrebbero essere designati come organizzazioni terroristiche».
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2 Comments
Sono completamento d’ accordo e condivido👍🌺👏🙏🌹🌹🌺🙏
Il regime terrorista degli Ayatollah uccide i giovani dissidenti credendo di poter rimanere al poter facendo leva sul terrore ma non sa che Sta escavando la sua stessa tomba